Saragat Splendida

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Jericho XVIII
view post Posted on 18/1/2015, 23:12 by: Jericho XVIII
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! शान्ति ॐ

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La melodia suonata da un pazzo, una coreografia di vetri rotti e colorati, schegge che lampeggiano come gli occhi di una folla curiosa. Le tue mani sulle corde, il tuo corpo che si muove, tamburi che suonano da qualche parte dentro di me. Un silenzio fatto di musica, lo hai mai conosciuto? Di trame che si nascondono tra le fessure dell'aria, respira e inspira, trema e poi ammira, fai rima, sparisci, spera. Alle nostre spalle sento bussare dei titoli di testa e non rispondo, non rispondiamo, in verità - siamo troppo occupati a scrutarci dentro senza capire, a guardarci per dimenticare chi siamo, e a volte funziona, a volte spaventa, altre volte fa sentire come-dio, Mikha'el. E mentre tu scopri che rumore fanno le tue idee quando risuonano nella mia testa, cassa di risonanza di melodie e follie, io accarezzo piano la forma dei tuoi pensieri, ne intravedo il colore, lascio che la loro luce mi culli come si fa con una speranza che nessuno ha il coraggio di alimentare – sono una falena, in mostro fatto di notte, una meraviglia intessuta nelle ombre – e sai cosa? La mia bussola, per qualche giorno, in un tripudio di lancette folli, ticchetta la tua canzone. Siamo il prosit del magnetismo, siamo l'elica stoica di un aeroplano che precipita nel paradiso del mare, Re e Regine dei pesci, crocifissi e latitanti su dimenticati sentieri zodiacali. A volte mi chiedo dove sia il nord e dove sia il sud, se fa più caldo soltanto sulle mie guance quando qualcuno ci soffia il vento dell'ispirazione, se siamo buoni a strisce cattive o cattivi a strisce buone...
Ma c'è quel vento che ti travolge, ski-lellè, e tu lo sai, ti sei ammalata di una ferita invisibile che ti fa sanguinare storie e sogni dalle mani, dalle dita, dagli occhi, da tutto ciò che c'è in te di colorato, di luminoso, e che nessuno vede mai. E fedeli vedi i tasti e le carte e le righe tamponare le lacerazioni ogni volta che hai la forza di chiedere aiuto, correrti incontro, lasciare che ciò che hai dentro scorra su di loro, si fermi loro addosso, e alla fine eccole là, le impronte rossastre di mondi nuovi, le macchie instancabili di cose che forse non esisteranno mai ma dentro te ci sono, ci sono sempre state, ci saranno sempre a premere per uscire fuori, con un sorriso complice all'angolo di ogni loro ghigno da Stregatto. Ti mettevi limiti come si mettono le briglie ad un capidoglio, ma Achab te l'ha detto che non si può cavalcare Moby Dick, soltanto affondare con lei... e adesso eccoti, persa in un mare piena di pesci, a credere che le triglie siano sirene, a buttarti un'àncora fatta di buoni propositi al collo e a rimanere sveglia sul fondale, immortale come Deadpool, prima di ricordarti che nel tuo mondo non c'è bisogno di respirare, prima di ricordarti che nel proprio mondo nessuno può morire... Un paradiso di volpi e cinismo infranto, un ritmo spezzato, le stronzate che vuoi fare per i vicoli di notte, i muri da dipingere, i posti in cui perdersi, le mani da sporcarsi, e rincorrersi e azzuffarsi e cambiare, cambiare, cambiare, quant'è bello avere ancora qualcosa da inventare.
E sai cosa? Non passa troppo tempo che già ti mettono sotto accusa, i giudici delle tue vecchie vite, i fantasmi di un futuro migliore – e poi “Vostro onore, io non mi sento di sbagliare” – un sussurro e il tribunale cade.
Il capo d'imputazione taglia la testa al toro, parla di rivoluzione, bacia la bocca dei giurati e si lascia indietro mogli e buoi. E il processo decade come un atomo, la sua radioattività si riversa sulla nostra capacità di concentrazione, l'inferno dei millenials, la loro gabbia dorata. Diventeremo tartarughe prima di avere il tempo di farci crescere un guscio. E saremo randagi per sempre, a cavallo di un mondo che si sposta, senza una casa che non sia l'ovunque.
“E quanti denti avrà mai il sorriso della rassegnazione?” balla San Diego con le sue mille luci.
“Quanti sorrisi posso portare io, in equilibrio sulle labbra, come ragni o gioielli di chimica e metafisica?” urla Cassandra sotto le mura di Troia e le mura le rispondono “Nessuno”.
Nessuno. Nessuno. Nessuno. E Nessuno fu il nome del migliore dei bugiardi che morì per mano di una sua bugia - un figlio che non avrebbe mai dovuto nascere, pronipote del Sole, di nome Telegono – Ulisse, signore degli inganni, che ti ha insegnato che i bugiardi migliori non sanno mentire a se stessi, e così ha imparato ad inventare invece che a mentire, e a viaggiare nella tua pelle con la sincerità che hanno i bambini nel rendere reale la fantasia... che gioco è questo? Che stregoneria? Tuta-tuta, khelset-el-khaduta?
E la notte smette di esistere quando ci si bacia a pelle nuda, il tempo proprio non esiste più, soltanto musica e rumori morbidi, schiocchi di una dolcezza segreta. I regali migliori sono fiati sospesi e luci spente al momento giusto se hai vent'anni e troppa paura di morderti la coda. A chiederci perché, unghiate contro denti, ferirsi per paura non sapersi fare abbastanza bene, i cuori rarefatti perché dove andiamo noi di aria ce n'è poca. I ritmi sottocutanei di tamburi senza corde, di paracadute gettati via, le nostre gabbie che si spogliano si scrutano si stringono si raschiano e sempre gabbie rimangono. La vita, l'universo, tutto quanto... ti scivolano addosso come sogni impossibili, suggeriscono limiti nuovi, o limiti-non-limiti, mentre piano piano includi fra loro anche me – mi sento la sfumatura di blu che sta in fondo al tetto del cielo, tu allunghi una mano per farle una carezza, lei si sposta un po' più in là, perché il cielo non lo tocchi se non sei abbastanza idiota e folle da provare a volare. Stessa strada, randagio anche tu, passi ciondolanti, un'ombra appesa ai calcagni, ma fianco a fianco, a menti aperte come finestre spalancate che danno sullo stesso vicolo, un linguaggio non lineare, fatto di polpastrelli e risposte giuste, fatto di speranze e passi falsi, schiena a schiena io e te, per pochi istanti, il tempo di assaggiare come si sta in due in un mondo così grande
- e il silenzio, teso come un filo tra la mia bocca e la tua, non è mai stato così bello.
 
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