Budapest - (Stream)

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Jericho XVIII
view post Posted on 3/4/2014, 00:46 by: Jericho XVIII
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! शान्ति ॐ

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The World That Never Was

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Parlare a notte fonda fino ad abbronzarsi con le parole, la mattina svegliarsi con le borse sotto gli occhi colme di frasi addormentate e sogni ad occhi aperti. La tagliola delle mie emozioni, in cui sei incappato come un pesce, gli occhi incastonati nel viso, impossibilitati a scappare, sul tetto scoperchiato del mondo. Le stelle vibrano, esplodono, le ascoltiamo cantare, siamo stelle anche noi, e non riusciamo a distinguere un canto di vita da uno di morte, perché due nomi spesso diventano uno, perché i nomi spesso non significano niente. Un cartello lontano e l'eco di un testo mai dimenticato, lettera per lettera inciso sulle pareti della cella della mia mente. Sento stridere, vetro di drago che pugnala la mia follia dentro un mondo di pazzi, perché si chiama folle un cannato che si piega ma non si spezza. Il vento dell'est arriva e trucida piano noia e solitudine, lo sento fischiettare tra i war poets e uno starnuto di Ginsberg. Che poi chi sono io per giudicare, che mi sembra di aver vomitato cent'anni appena libero una decina di parole. L'età avanza ed il parto è sempre più doloroso, le frasi si incastrano, le cavità del mio cuore sono sempre più strette, il muscolo più fiacco, allentato dal peso che ne entra e ne esce in continuazione, come un ciclo di maree sanguinanti, istigato da una luna invisibile – la luna del mio umore. Punteggiatura come un apparecchio per i sentimenti. Per vederli più dritti, per sentirli più veri. Perché un punto è una minaccia ed una sicurezza insieme, la prova che riesci a concludere qualcosa, la dimostrazione che prima o poi finirai anche tu così come le tue frasi scompigliate, il tuo lessico ipnagogico, il tuo escapismo da quattro soldi. Bang, tira Dean, ed ecco un altro spicciolo bucato. Raccolgo la moneta e guardo in mezzo, la passaporta per mondi più grandi, per universi più gratificanti, per lingue che suonano brillanti come l'alba di questa primavera informe. Ogni mattina mi sveglio e mi trovo addosso una pelle più vecchia, che un'ombra paziente ha cucito durante la notte. Che farmene?, mi chiedo, e inizio a grattarmi, e tutto il giorno saltare, ballare, scuotersi, rotolarsi, strisciare contro muri e costrinzioni, supplicare santi e bestemmiare diavoli, ma niente, il prurito rimane, il tempo passa, ride, e lascia la sua polvere pruriginosa dalla radice dei miei capelli alla punta dei miei talloni. Ma le ali no, quelle si salvano. Mai ferme, mai esitanti, sempre isteriche e oscillanti nel magnetismo che le attira lassù – lassù dove? Ovunque ma non qui. Nei momenti in cui il totalmente altro diventa esattamente noi. Strade incrociate che percorriamo sulla punta dei piedi, Ecate che ci spia ad ogni incrocio, i suoi tre volti rivolti alle nostre doppie facce, le sue tre età a reggerci il bastone, ad infilarci la fede, a dondolarci la culla. E poi eccolo lì. A ciondoloni sull'ultima rosa del mondo, con un completo del colore del legno con cui si costruiscono le librerie e gli amuleti, un taglio strano della bocca, come una smorfia, come un sorriso. Il mio demone preferito, il navigatore dei miei sogni più grandi, con la sua cabina blu piena di lupi cattivi e labirinti da cui nessun Minotauro mi può salvare. “Tutto il Tempo e lo Spazio, ogni Stella, Pianeta, angolo di questo universo. Da dove vuoi cominciare?”, chiede, e la mia risposta è sempre una: ovunque ma non qui. Ovunque ma non qui. Vado lontano. Percorro Solaria e la terra dei fuochi, catturo Pokémon in provincia, torno bambina quanto basta per voler sentirmi di nuovo grande, rimpiango, rimembro, mi distraggo, ma poi torno sempre attorno a quella consolle, a quei grandi schermi sulle nuvole che sognavo da piccola, con bestie rosate magnifiche e terribili che mi indicavano la strada e il Re degli Incubi davanti ai suoi Specchi che piange e si contorce dal dolore. Sono sempre io, sono sempre là, a scherzare per dire la verità, a stare zitta quando voglio mentire, perché Charles B., non appassiscono mai i fiori del male. E a volte nelle parole un riverbero incapace di De André, come un rincalzo sul palato, una spinta soffice, lo sgambetto di un fantasma. Mille vie davanti, mille passi da ripercorrere, oppure la Strada, no, Sulla strada, c'è differenza, una uccide l'altro ispira. O viceversa, a seconda che tu sia lettore o personaggio. Ma poi che differenza c'è? Ho raccolto un nugolo di piccole api attorno ai cuscini della carta e dell'inchiostro, le abbraccio e sussurro loro conforto e motivazione, ispiro e rassicuro, quando dentro di me sento soltanto i quattro rintocchi della fine del mondo. Pena Panico Paura Perplessità. Danza Delirio Demenza Destino. Innocenza. Il piede storpio dei deboli di fede, dei buoni per necessità e non per indole, il chiasmo del karma, e tutto diventa ancora suono, tutto ancora gioco, e io che competo con la vecchia me mi mordo le labbra e maledico la fretta e la pazienza, l'attesa e l'impazienza, la vergogna e l'impulsività. Ringrazio chi c'era sottovoce quando passa per guardare altrove. Eppure tante cose andrebbero diversamente, come dicevano sul mondo con la gravità al contrario, dove i pesi massimi camminavano sulle orecchie e gli anoressici precipitavano nel cielo. Qualcuno cali il sipario del teatro dell'assurdo dentro la mia testa. Qualcuno legalizzi i biglietti, che almeno qualcuno entri e si faccia un tour, se proprio the show must go on, che poi non ci ho mai creduto veramente, perché un conto è cantare qualcosa, un altro è viverla, sbaglio, Ezra? Essere una pietra e non rotolare giù, come l'Inferno dei greci, ma nessuno parla più il greco (a parte i greci, che sono tutti all'inferno), e le serrande delle palpebre scricchiolano, c'è ancora tanto lavoro da fare, tanto da dormire, da sognare, da esplorare, e questa piccola ragazza su di una grande nave pirata guida avanti con una benda sull'occhio sano e un'illusione davanti all'altro, all'arrembaggio, c'è da fare, ci sono scuse da chiedere e da ricevere, nomi parossitoni da inventare, storie da scrivere e da raccontare, perché finalmente farà anche lei il Big Crunch, smack, boing ,dang, with you, my little honeypie, che mi ascolti mentre segui i cartelli e rispetti i limiti e mi dici che vaneggiare vale più di Schopenhauer e presto non ci sarai, o forse rimarrai per me e allora tutto peserà come non mai, ma mi sento in dovere di rassicurarti, ti dico, a meno che non metteremo ali anche sul nostro carico e decideremo di cambiare e di andare via, completamente, capelli blu, non c'è bisogno di spostarsi quando si è verdi o blu, basterà tingerci i capelli, avere le mani in pasta, il conto in rosso, essere al verde, farsi neri e mandare a fanculo qualsiasi daltonismo, perché come diceva il mio amico Zero al signor S., be', allora ogni cosa è una malattia, e la vita è la più grande di tutte, perché ci nasci e ne muori, e io così, con te, sento che si aggrava, e ti dico: ho bisogno di un Dottore...
 
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