But what else can we do

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Jericho XVIII
view post Posted on 31/8/2012, 13:40 by: Jericho XVIII
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! शान्ति ॐ

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The World That Never Was

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E poi. Oip. iOp. Ci sono quei momenti in cui riprendi in mano le tue vecchie cose, le tue valigie di ciondoli e i tuoi sogni d'estate, e decidi una destinazione. Destinazione. Che cazzo vuol dire destinazione. Perché non hanno inventato una parola meno perfetta, perché la usiamo così spesso senza sapere cosa vuol dire? Sui biglietti del treno: destinazione. Sui pannelli all'aeroporto, destinazione. Sulle etichette delle valigie, destinazione. Nelle domande sulle vacanze, destinazione. Sulle foto di internet, destinazione. Destino. Ma che cazzo vuol dire destino? Sì, ho voglia di urlare, di nuovo, ora un po' di meno, ora ancora di più. Non so perché. Voglia, a volte, di alzare il volume, di rompere tutto, di iniziare a ballare e non smettere più. Di dipingere il vento, mangiare le parole e fare tante altre cose che puoi fare solamente se hai presente come si scrivono. Ho voglia di prendere il largo, con una sdraio-banana perfecta por tomar el sol, fino all'Albania e poi oltre, il lago Bajkal, la fossa delle Marianne, Atlantide. Basta, andiamo via, andiamo via per un po', prima che il giro di giostra ricominci. Perché ho voglia di fare tante cose. Ho voglia di farmi una corona con il girovita del mondo, poi di sbroccare, di ripigliarmi, di dire tante cose, di tacerne tante altre, voglia di sentire, di mandare a fanculo i numeri sulla tabellina dei cinque sensi e di imparare a percepire di nuovo ogni cosa come fossi la bambina che ancora tira la coda agli aquiloni. Ho voglia di ricominciare, Dio del marzapane, dio del vino, dio divino, e ho voglia di continuare. Ho prima voglia di smettere, poi di riprendere. Per poi stancarmi, e appassionarmi, e riprendermi e millantare tutto quello che vedo. Millantare, affascinata, come Gesù nel tempio, come Giuda tra le cosce di Maddalena e dire che sì, oh sì, dio esiste, dio è nei dettagli che gioca a briscola col diavolo. Mamma siediti e ascoltami bene, mamma guardami, mamma sono sempre io. Io che voglio spezzare la vita e ricucirla insieme nella coperta patchwork del bambino Linus Van Pelt che mi vive dentro – sei ancora lì, piccolo? Respiri? Non ti sto ancora stretta? È tutto questo mare, scusami, lo sai che l'acqua fa restringere un pochino, e come mi ha detto un amico americano: questa è l'acqua, sì, tutta, tutta questa, tutta questa vita che ti scorre addosso e dentro e non ti lascia il tempo di affogare. Ma perché parlo io che ho voglia di giocare di nuovo con lui, Linus, sotto questo sole che diventa pioggia ma sempre cielo resta. È una voglia strana, che sa di mare, di futuro, di promesse, di appartamenti stretti, fantasie e corpi sempre più caldi, sempre più forti, sempre più veloci. Prima non la sentivo. Ho questa mezza idea di aver cambiato linguaggio, di non saper ululare e latrare e abbaiare a un'ombra di corvo come facevo prima. Ho paura che a cambiar pelle dimagrisca l'anima. Ho paura di tuffarmi nei tuoi occhi, e la paura mi seduce. Ed è una nuova energia. Tutto riparte, tutto fluisce, forse con una certa malinconia, e a Edimburgo guardavo i treni passare affidando a ciascuno un frammento della mia anima da inventarsi un po' più lontano. Piccole stelle. Raggi di personalità. Sputati nella vita senza sputare sulla vita. E ancora, le possibilità, cazzo, le possibilità, e tutto quanto che si avvolge, morde, perdona e torna Uno. Io non so chi sono e non morirei per me. Amico ti chiami come un cane ma il cervello ce l'hai. Se solo credessi anche nella ghiandola pineale. Le caramelle sulla bocca di quell'uomo fatto di cera, di sudore e di microfoni, l'amplificazione, il dolore, forse, ma è dolore?, e poi mi chiedo in cosa credo, e perché. Prendo appunti e non scrivo più niente. Ho la poesia dentro e la lascio annacquare. O forse non c'è mai. Forse esiste soltanto se qualcuno, qualcuno (a caso, s'intende, tugkano. Tu, il caso-caos più alto di tutto, che prendi Maso a capocciate in fronte ed poi urli: sono più in alto io), se questo qualcuno con le sue labbra piene ed il suo cuore spazioso (per anime ingombranti come la mia, anime spugna, anime polmone) si mette i guanti di plastica e con calma, sera per sera, vita per vita, me la distilla da dentro. E che gusto e che sapore. Liquore, lì-cuore. Se mi lappi le labbra con dolcezza forse ancora qualche goccia ne trovi, ma non chiedermi il tuo nome, o la parlerò via.
La voce del mundo, la voce dell'ombelico che dice “Corri, vai”, ché hai trovato qualcuno con cui rincorrere l'impronta che il sole ti disegna sotto i piedi, se e quando avrai il coraggio di credere ancora che le nuvole siano panna. E le nuvole sono panna. E non c'è se, soltanto quando e quando è sempre. 'After all this time?'.
E i miei piedi come fruste di seta nell'acqua morbida come glassa sulle nostre torte pindariche. Un equilibrio senza mezze misure, di nuovo, affisso sul bersaglio, e noi che incocchiamo il dardo (sulla cima un piccolo verme che si chiama mondo, che si contorce e ride e grida 'Ovetto!'). I nostri sguardi che non sono più parole ma soltanto intendimento. Pensieri liberi, liberi pensierosi, a ruota, a cavallo, a sbavo, a Vera Van. La corsa prosegue, la giostra gira, canta i Beatles, un pagliaccio ci sfotte leccando oscenamente il suo cornetto Motta. Non sentiamo freddo ma non sentiamo caldo, ci affiliamo, filiformi attraversiamo i giorni, e la mia curiosità dolce gorgoglia di piacere quando guardo la tua pelle e penso che un giorno sarà tutta mia, come un involucro, come un nido felice che ci scambieremo di tanto in tanto – io ti darò la mia, all'inizio ti starà stretta ma non ti preoccupare, se ci sta uno Schultz dentro per te non ci saranno problemi – e una volta invertite, dopo un po' di tempo, non ricorderemo più di chi era quale. Come i miei giochi con i numeri ed i trentaquattro secondi che mi conti con un sorriso. Non mi dici brava ma continui a mischiare. Io ti guardo, ti fotografo, carico un rullino che svilupperò in una vita soltanto. Ormai la freccia è partita, lo schema si è rotto, l'acqua sale, il fuoco pepe, la battuta non ti fa ridere ma le tue labbra si curvano e io le bacio ancora di più.
E mi chiedo cosa perdo e cosa guadagno. Oh, no, non è vero, non è vero, la vita è un baratto, il tempo lo strozzino, questa valle di lacrime il parco giochi di un economista sadico, e tua madre potrebbe aiutarci a barare sulle sue regole. Sali sul vascello, metti la benda sull'occhio, impugna la sciabola, credi nell'eternità? Pirati di gioventù, contrabbandieri di speranza, spes ultima dea, spes prima puella. Parliamo lingue morte ma mica tanto, mica tanto, l'importante è che tra il mio petto ed il tuo non ci sia mai spazio, nell'aria crescono batteri, lo sai, amore mio? Amore mio. Ma noi di aria non ne abbiamo bisogno, infusi nel mondo come aromi di spezie, intrisi di questo sentimento pandemico e anaerobio, che non ha bisogno di spazi, di tempi, di oggetti, di dolore, che tira soltanto avanti e se ci penso lo vedo che ride. Lo vedo che ride, sul suo carro di maschere, coi piedi nudi sul legno da palcoscenico che ci fa scivolare sotto i piedi; lo vedo che affanna e sbuffa per star dietro a chi si ama, lo vedo che ghigna quando le coincidenze fanno jackpot, lo vedo che sospira dall'alto dei suoi anni-senza-anni – lo vedo che si burla di noi e da noi viene burlato, pagliaccio senza rime, il Più Potente dei Demoni, lui, proprio lui, che non ci dà pace perché non gli facciamo guerra. Le trecce ai miei capelli pesano sempre di più, le scioglierò, non le scioglierò, le guarderò allo specchio o forse bucherò il vetro per finire sulla scacchiera dall'altra parte? Ma ormai è tardi.
Sento le palpebre pesanti, mi scendono sugli occhi come saracinesche sulla realtà. La storia è finita per stasera, annunciano come un bando, escano i signori dalla sala, le proiezioni riprenderanno domattina. Mi dicono, con parole di ciglia, parole di lacrime e di fantasmi, ora un po' più gentili, più vicine, più familiari, mi dicono càlmati. Scendi. Scendi dal mondo. Fallo fermare, fallo soltanto per ricordarti che sei capace. Poi risali. E fai ripartire tutto. E riprendi in mano le tue vecchie cose, le tue valigie di ciondoli, i tuoi sogni d'estate...
E non dimenticare le conchiglie, non dimenticarle mai. Senza le conchiglie non arrivano i pagliacci.
 
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